LA GESTIONE DEI CPR FRA IL SILENZIO DELLO STATO E LE VOCI IN DIFESA DEI MIGRANTI
Nel nostro precedente approfondimento, abbiamo messo in luce le condizioni estremamente difficili in cui i migranti si trovano a vivere nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR), sollevando questioni cruciali sul benessere umano e sui diritti fondamentali. In questo nuovo articolo indagheremo chi sta dietro le quinte della creazione e della gestione dei CPR. Chi sono gli attori coinvolti in queste strutture controverse e quali responsabilità hanno? Esploreremo anche le voci e i movimenti che si levano in difesa dei diritti dei migranti, impegnandosi per una revisione della gestione dei CPR o addirittura per la loro abolizione.
La gestione dei CPR è un intricato gioco di responsabilità che coinvolge attori a vari livelli, dall’amministrazione locale a quella nazionale, fino a entità private che gestiscono le operazioni quotidiane. Ma come funziona esattamente questo meccanismo? Chi tira le fila e come si prendono le decisioni?
IL RUOLO DEI MINISTERI: DALLE POLITICHE ALLA PRATICA
Al vertice della piramide decisionale troviamo il Ministero dell’Interno, fulcro delle politiche di immigrazione, affiancato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Questi ministeri hanno il compito di identificare le sedi appropriate, istituire nuovi centri e garantire una gestione efficace. Tutto ciò avviene attraverso decreti congiunti che delineano non solo le ubicazioni ma anche le specifiche operative dei centri.
Particolare attenzione viene data al Decreto del Ministro dell’Interno del 2018, un provvedimento che stabilisce gli standard per i CPR. Qui sono definiti i requisiti imprescindibili per le strutture: dalle dimensioni degli spazi all’organizzazione di servizi essenziali. Questo decreto dovrebbe assicurare che i CPR non siano solo luoghi di detenzione, ma spazi in cui i diritti fondamentali delle persone siano rispettati.
PRESIDENTI DI REGIONE E PREFETTURE: DALLA SCELTA DELLA LOCALITA’ ALL’EROGAZIONE DEI FONDI
Proseguendo da questo importante punto di riferimento normativo, la scelta del sito per il nuovo CPR rappresenta il primo e cruciale passaggio nel lungo percorso verso l’effettiva realizzazione della struttura. Questa fase si caratterizza per un forte spirito di collaborazione tra il governo centrale e le autorità regionali. I presidenti delle Regioni, in particolare, svolgono un ruolo chiave nella selezione della località esatta, con una netta preferenza per zone posizionate al di fuori delle aree urbane densamente popolate. L’intento è quello di minimizzare l’impatto sulla vita quotidiana delle comunità residenti, garantendo al contempo che la struttura possa essere facilmente accessibile per le necessità operative e logistiche.
Successivamente, la palla passa alle prefetture, le quali assumono la responsabilità di coordinare la fase di implementazione. Queste entità locali gestiscono il processo di bandi di gara, selezionando l’ente che si occuperà della gestione quotidiana del CPR. Un aspetto fondamentale nel mantenimento delle operazioni quotidiane delle strutture è la gestione dei finanziamenti. Le prefetture, in questo ambito, hanno il compito di allocare i fondi in maniera proporzionale al numero di individui ospitati, assicurando così che le risorse siano adeguatamente distribuite per coprire i bisogni essenziali di ogni trattenuto.
GLI ENTI GESTORI
L’evoluzione nella gestione dei CPR ha seguito un percorso che riflette ampi cambiamenti nella politica e nella società italiana. Da un sistema inizialmente affidato alla Croce Rossa Italiana, testimone di un approccio incentrato sull’umanità e il soccorso, si è assistito a una progressiva transizione verso la privatizzazione. Oggi, la responsabilità di questi centri è nelle mani di una varietà di enti, che spaziano dalle cooperative sociali a società for-profit e multinazionali.
Come evidenziato nel nostro articolo precedente, l’affidamento della gestione dei CPR avviene tramite un processo di gare d’appalto pubbliche. Il criterio guida per l’assegnazione è quello “dell’offerta economicamente più vantaggiosa”. In teoria, questo metodo dovrebbe garantire che il servizio di migliore qualità venga fornito al minor costo. Tuttavia, questo sistema ha innescato una tendenza tra i gestori dei CPR a ridurre al minimo le spese per massimizzare i profitti. Questo approccio, purtroppo, ha avuto ripercussioni dirette sulle condizioni di vita all’interno dei centri. La qualità dei servizi spesso subisce tagli significativi, compromettendo il benessere dei trattenuti.
Un esempio lampante di queste problematiche è stato il recente scandalo che ha coinvolto la Martinina Srl, società incaricata della gestione del CPR di Milano.
MARTININA SRL: LO SCANDALO DEL CPR DI VIA CORELLI
A dicembre 2023, la Guardia di Finanza di Milano ha lanciato un’indagine approfondita sul CPR di via Corelli. Questa mossa è stata scatenata da sospetti di frodi nelle forniture pubbliche e irregolarità negli appalti, presuntamente orchestrate da Martinina Srl. Le accuse mosse contro la gestione del CPR sono gravi e toccano vari aspetti della vita quotidiana dei suoi ospiti. Il decreto di ispezione ha messo in luce una serie di inadeguatezze preoccupanti: un presidio sanitario insufficiente, con una marcata mancanza di medicinali e visite specialistiche anche per condizioni serie; un supporto psicologico e psichiatrico quasi inesistente, aggravato dalla barriera linguistica; camere e bagni in condizioni igieniche deprecabili; e pasti maleodoranti, talvolta avariati o scaduti.
Le indagini hanno rivelato che Martinina Srl non ha rispettato gli standard di servizio richiesti dal bando di gara, che includevano l’assistenza sanitaria, la gestione della mensa e le pulizie. Inoltre, emerge l’ipotesi che la società abbia presentato documentazione falsa per aggiudicarsi l’appalto. A seguito di queste rivelazioni, sono stati indagati l’amministratore de facto e de iure della società.
Di fronte a tali rivelazioni shock, la magistratura ha preso la decisione drastica di revocare la gestione del CPR dalla Martinina Srl, affidandola a un commissario. Questa situazione solleva interrogativi urgenti sulla supervisione e il controllo degli appalti per la gestione dei centri e sulla tutela dei diritti e del benessere dei loro ospiti.
Il caso del CPR di via Corelli non è solo un punto di inflessione per le autorità coinvolte ma serve anche come monito sulla necessità di garantire trasparenza, responsabilità e umanità nella gestione di strutture tanto critiche. Questa indagine potrebbe rappresentare il primo passo verso un rinnovato impegno per la dignità e la giustizia all’interno dei CPR italiani o, forse, un primo passo verso la loro abolizione.
CHI LOTTA CONTRO I CPR?
Di fronte a scandali come questi, cresce il numero di voci di chi, dentro e fuori le istituzioni, lotta per cambiare le cose. Associazioni umanitarie, collettivi di attivisti e singoli cittadini impegnati: sono molteplici i fronti su cui si combatte per garantire condizioni di vita dignitose per i migranti e per rivedere o abolire il sistema dei CPR. La loro azione si traduce in campagne di sensibilizzazione, azioni legali e proposte di riforma, alimentando un dibattito sempre più acceso sull’argomento. Alcuni dei nomi in prima fila nella denuncia ai CPR sono nomi noti, nomi di associazioni che lottano da anni nel campo dei diritti umani, come Antigone, o che difendono le persone dalla discriminazione come il NAGA. Ma come interagiscono queste realtà? Come si coordinano? e in base a quali principi?
Sentiamo che c’è una forte necessità di rispondere a queste domande per definire con più precisione quel fronte, composto da associazioni appartenenti a diversi contesti ed ambienti accademici, che pur portando avanti un lavoro incredibile e continuo negli anni, spesso ci appare, attraverso i social o gli eventi organizzati, frammentato e limitato alle realtà che conosciamo personalmente. Per capire quali sono i contatti e i legami fra le varie realtà capaci di mantenere attiva la denuncia ai CPR abbiamo intervistato una rappresentante della Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili (CILD), un’associazione nata nel 2014 con lo scopo di contrastare il razzismo e la xenofobia in Italia e che nel 2021 ha pubblicato un rapporto, “Buchi Neri”, riguardante l’abisso dei CPR.
LA COORDINAZIONE E LE SINERGIE DI CILD
La CILD è un’associazione di secondo livello in quanto composta da 43 associazioni e fondazioni (tra cui anche le già menzionate Antigone Onlus e NAGA), nata con l’obiettivo di difendere e promuovere i diritti e le libertà di tutti, combinando l’advocacy, l’educazione pubblica e l’azione legale. I membri e i volontari di CILD portano avanti questi princìpi a livello territoriale con un forte focus sul territorio Laziale e Romano.
A livello nazionale, invece, sfortunatamente non c’è una sinergia costante ma sono molti i contatti con le associazioni delle grandi città (come ad esempio con la rete NOAICPR a Milano) e la collaborazione, sia da parte di CILD che di tutti gli altri attori in gioco, è ben vista ed incoraggiata con manifestazioni, eventi, appelli e richieste che nascono e vengono portati avanti da combinazioni di diverse realtà.
Nonostante la mancanza di un’organizzazione precisa ad alto livello, attraverso conferenze ed incontri, l’intero movimento sta prendendo slancio, forse anche per la crudeltà delle testimonianze che ci giungono dai CPR, per gli scandali che abbiamo evidenziato o per il comportamento sconvolgente degli enti governativi che infrangono irrimediabilmente la legge e la costituzione impedendo alle associazioni umanitarie di svolgere il loro lavoro di controllo. La volontà di un coordinamento nazionale si sta facendo strada, spinta dalla consapevolezza che uno sforzo in questa direzione aprirebbe a possibilità maggiori per le tre richieste principali su cui si snodano le battaglie di tutte le associazioni che denunciano i CPR:
- Diritto delle associazioni ad accedere fisicamente a questi centri, sia per motivi specifici, sia tramite nulla osta che, per esempio, sono garantiti alle realtà che operano nel monitoraggio delle carceri italiane.
- Trasparenza su chi viene inserito nei CPR, su chi vince le gare d’appalto, sul ruolo e sull’impiego della polizia e di altri corpi delle forze dell’ordine e sulle condizioni di vita dei trattenuti.
- Accesso civico generalizzato ai documenti dell’amministrazione pubblica relativa ai CPR che dovrebbe essere garantito dalla legge.
Se queste richieste venissero presentate contemporaneamente e/o congiuntamente da una rete nazionale, si avrebbe un impatto, anche mediatico, molto più forte. Un impatto in grado non solo di rompere il muro di silenzio che avvolge l’orrore dei CPR ma anche di coinvolgere altre associazioni, professionisti, figure statali, che solitamente agiscono in ambiti molto distanti ma che uniti potrebbero fare pressioni e fornire nuovo slancio al movimento.
LA PRESENZA DELLE REALTÁ INTERNAZIONALI
La storia dei CPR è lunga più di vent’anni ma se in passato associazioni internazionali, come Medici Senza Frontiere, svolgevano attività all’interno dei centri per il ricollocamento ora questa sinergia si è persa e lo stesso vale per realtà che, oggigiorno, si occupano di salvare i migranti nel Mediterraneo. Infatti, benché quest’ultime entrino in contatto, sicuramente, con le stesse persone che finiscono all’interno dei CPR, la bolla di silenzio, il buco nero, che avvolge attualmente i CPR non permette di sviluppare nessuno scambio di informazioni. La crisi umanitaria e sociale che I CPR costituiscono è, a suo modo, inedita e perfino realtà specializzate fanno fatica a mettere in campo progetti per aiutare i trattenuti.
CONCLUSIONE
CILD e tutte le realtà immerse nella lotta ai CPR condividono un unico obiettivo: la chiusura definitiva dei centri per il rimpatrio. Questa condizione, il non accettare qualsiasi proposta di riforma, attualmente è l’unico vincolo etico che può impedire una collaborazione in un panorama che ancora non può dirsi unito ma fattosi carico di una missione fondamentale per ricostituire il rispetto dei diritti umani nel nostro paese.
Spesso volgiamo la nostra attenzione più su chi liquida il dolore delle persone trattenute , su chi ostacola e mente ma è giusto anche guardare e celebrare chi l’orrore cerca di illuminarlo ed estinguerlo capendo le sue intenzioni, progetti e fragilità. E sollevarsi, prendere un respiro vedendo che lentamente anche realtà che non hanno a che fare con il carcere o il mondo dell’immigrazione si mettono in moto costruendo un movimento civile che sembra essere sempre di più una rete intersezionale, multipolare. Affinché questi luoghi in cui non valgono né le leggi dello stato né gli articoli della costituzione possano scomparire.
Scritto da: Francesca Baronchelli in collaborazione con Giulio Corradi di AtTempo
Fotografie di: Bimal Bellomi e Pasquale Rescigno
Un ringraziamento speciale va a Federica Borlizzi, rappresentante di CILD per le sue risposte preziose che ci hanno permesso di scrivere quest’articolo.