Abbiamo già parlato della situazione dei richiedenti asilo in Italia, dove abbiamo messo in luce le caratteristiche e le problematicità legate ai nostri sistemi di accoglienza. Entrando nel dettaglio, la città di Milano, ad oggi una delle principali mete per coloro che migrano verso l’Italia, è spesso al centro dei discorsi legati alla questione migratoria. Questo articolo ha quindi lo scopo di raccontare, attraverso una panoramica dei dati e del sistema di accoglienza del capoluogo lombardo, la condizione dei migranti che qui cercano protezione, con un’attenzione particolare alla situazione presso l’Ufficio Immigrazione di via Cagni, emblematica della pessima gestione delle richieste d’asilo nella città.
LA MANCANZA DI DATI
Secondo un report del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, a Milano le richieste d’asilo hanno subito una diminuzione del 33,4% tra il 2020 e il 2021, passando da 9’835 a 6’547. In generale, però, ci sono ancora pochissimi dati disponibili a proposito della presenza dei richiedenti asilo nel capoluogo lombardo. Questa carenza di informazioni aggiornate ci costringe a fare riferimento a un rapporto statistico datato 2020, basato sul progetto SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione) a Milano, per poter offrire una panoramica il più completa possibile del fenomeno. Questo è limitante, dal momento che il SAI gestisce la Seconda accoglienza, ossia la fase di integrazione e inclusione dei richiedenti asilo. I dati, dunque, rispecchiano le caratteristiche e le peculiarità di coloro la cui richiesta d’asilo è andata a buon fine.
I NUMERI CHE ABBIAMO
Nel 2020, il numero complessivo di persone ospitate dal SAI a Milano è stato di 504, comprendendo sia coloro che erano già presenti nel 2019 (380) che quelli che sono entrati nel corso dell’anno (126). L’occupazione media dei posti letto è stata di 1,44 persone per ogni posto disponibile, considerando il rapporto tra le persone ospitate e i 350 posti totali. Tuttavia, a causa dell’impatto della pandemia da COVID-19, nel corso del 2020 i nuovi ingressi sono stati interrotti per diversi mesi. Alla fine dell’anno, il numero di persone presenti era sceso a 302, una diminuzione del 20,5% rispetto all’anno precedente.
Per quanto riguarda le nazionalità più rappresentate, la comunità pakistana ha registrato il maggior numero di ingressi (14,5%), seguita da Mali e Nigeria (11,3% per entrambe) e, infine, dai cittadini salvadoregni (10,5%). Rispetto alla tipologia familiare, nonostante si sia verificato un aumento significativo della presenza di persone che vivono in famiglia nel corso del 2020, nell’86% dei casi si tratta comunque di famiglie unipersonali. Tra i beneficiari dell’accoglienza, la componente femminile è cresciuta fino a rappresentare il 29% degli ospiti rispetto al 17% del 2018. Anche la percentuale di minori è aumentata, passando dal 6% nel 2018 al 15% nel 2020. Tuttavia, la fascia d’età tra i 18 e i 24 anni ha visto una riduzione della sua rilevanza (dal 46% nel 2018 al 27% nel 2020) mentre i giovani adulti tra i 25 e i 34 anni sono aumentati, arrivando a rappresentare il 46% dei beneficiari. Infine, la classe d’età degli ospiti più anziani (oltre i 35 anni) ha perso leggermente rilevanza, rappresentando il 13% degli ingressi nel 2020 contro il 15% del 2019.
I CENTRI DI ACCOGLIENZA
Come evidenziato nell’articolo precedente, la maggior parte delle strutture d’accoglienza in Italia sono Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS). Questi centri vengono aperti attraverso un bando emesso dalle prefetture, nel quale viene specificato il numero massimo di posti disponibili, determinando così la capacità della struttura. Tra i comuni interessati da centri con una capacità media superiore troviamo Bresso, nella provincia di Milano, che può ospitare fino a 300 persone. È importante specificare che il Decreto Sicurezza stabilisce che questo è il limite massimo di posti per i CAS. Tra le grandi città italiane, Milano si distingue per il maggior numero di posti offerti per l’accoglienza dei richiedenti asilo all’interno dei CAS, con un totale di 1’670 posti distribuiti in soli 14 centri. In media, ogni Centro di Accoglienza Straordinaria a Milano dispone di 119,3 posti, rappresentando così una delle città con la capacità media più elevata in Italia.
IL CASO DI VIA CAGNI
Nel dicembre 2022 l’Ufficio Immigrazione situato in via Cagni è diventato emblematico per la situazione dei migranti a Milano. Sin dall’inizio dell’anno le persone erano state dirottate dalla questura di via Montebello a quella in zona Niguarda per formalizzare la propria domanda di protezione internazionale. Angelo, volontario del Centro Naga Har, ha sottolineato come quella di via Cagni sia una sede molto più periferica della precedente, che non ha evidentemente i mezzi per accogliere il grandissimo numero di richieste d’asilo che la città di Milano riceve. «L’organizzazione prevedeva una selezione quotidiana: venivano selezionate 30 delle 2-300 persone che normalmente si presentavano a fare domanda».
La situazione, però, è cambiata proprio a fine 2022, peggiorando i disagi che già c’erano in questo contesto. «La selezione a questo punto è diventata a cadenza settimanale: le persone si recavano lì di domenica sera e al mattino ne venivano selezionate circa 120 delle 7-800 che di media ogni settimana si presentavano». Da lì, coloro che erano stati scelti venivano divisi nei cinque giorni lavorativi dell’Ufficio per poter avviare le pratiche.
Ciò ha comportato che migliaia di persone hanno passato una o due – se non più – notti accampate nei giardini pubblici poco distanti dalla sede della Questura, stipandosi poi in una coda contornata da transenne per cercare di avvicinarsi il più possibile all’ingresso. Dietro ai cordoni delle forze dell’ordine, i richiedenti asilo sventolavano documenti e passaporti nella speranza di essere notati. La tensione era sempre tangibile tra chi cercava di assicurarsi una vita migliore e si vedeva invece chiudere un portone in faccia, magari per l’ennesima volta nel giro di mesi.
Questo prima che la procedura d’accesso venisse cambiata di nuovo ad aprile 2023.
LE TESTIMONIANZE
La maggior parte dei richiedenti asilo in via Cagni sono ispanofoni o arabofoni, persone che fuggono dai loro Paesi per ragioni politiche, economiche e sociali insostenibili.
In coda, nel freddo di febbraio, una donna arrivata dal Perù ci parla delle motivazioni dietro alla sua richiesta: «Il Perù ora sta male politicamente e tutta la gente sta venendo qui, verso un altro paese. Io ho deciso di venire in Italia per il futuro dei bambini».
Roxana, in Italia già da tre anni, è in via Cagni per aiutare il cugino a ottenere la protezione internazionale. Lei sta aspettando la sanatoria, lui di essere selezionato per le pratiche. Sono lì per la terza volta, ma entrare le sembra difficile, perché nonostante le persone stiano lì dal mercoledì fino al lunedì mattina successivo, sono poche quelle che vengono scelte, e spesso la precedenza viene data a donne incinte o bambini. Roxana ci racconta del cugino: «Lui è arrivato il 12 novembre, sono tre/quattro mesi che è qui. Anche suo fratello è arrivato il 12 e lo hanno ammazzato il 14, due giorni dopo. Il fratello ha lasciato un bambino di tre anni di cui adesso mio cugino è responsabile, deve inviare soldi in Perù per il bambino perché è solo con la mamma. Quindi è anche per quello che vuole la documentazione, ha bisogno di un lavoro».
C’è un altro uomo, sempre dal Perù, che spera presto di poter entrare. È in Italia da un anno, ha lasciato i suoi figli in Sudamerica e vorrebbe ricominciare nel nostro Paese. Ormai anche lui si è reso conto della situazione complicata: «Il processo della documentazione è molto difficile per i migranti, ci sono molte regole. Per chi sta qua alla Questura per l’asilo politico è ancora più complicato in questo momento, è molto saturato, facciamo code immense. Io per esempio sono qui da lunedì scorso e c’è gente forse da più tempo, uno o due mesi, che sta facendo sempre la coda. Non importano la notte o il freddo. Questa notte abbiamo dormito sotto una macchina con alcune persone, con altri abbiamo dormito qui sparsi… ma abbiamo bisogno di questa documentazione per poter lavorare».
Una volontaria chiede a una donna peruviana se non dovesse entrare quel giorno se tornerà la prossima settimana. «In realtà per quello che ho capito devo rimanere, perché magari non mi ricevono questo lunedì ma il prossimo sì, quindi devo continuare a salvare il mio posto in coda venendo tutti i giorni».
LA NUOVA PROCEDURA
Ad aprile 2023, vista la disastrosa gestione delle richieste in via Cagni, la Questura ha cambiato modalità di accesso all’Ufficio Immigrazione, sospendendo le presentazioni spontanee delle domande d’asilo.
La nuova modalità prevede la prenotazione on-line dell’appuntamento presso l’Ufficio, anche per il primo accesso. Chi è già in possesso di un regolare documento d’identità può accedere al servizio registrandosi sul portale PrenotaFacile e prenotare autonomamente la prima data disponibile. Le persone invece sprovviste di passaporto devono rivolgersi ad alcune associazioni del terzo settore per essere aiutati nella procedura.
La situazione, dunque, parrebbe essersi sistemata, dopo che anche il Ministero dell’Interno aveva dichiarato a marzo che il numero di persone in coda era in diminuzione e che era già attiva una rete di assistenza per i richiedenti asilo. Dalle testimonianze dei volontari, però, emerge come il problema principale non sia stato assolutamente arginato. Come ci ha raccontato Cecilia di Naga Har, le persone non sono più costrette a passare nottate davanti alla sede e a scontrarsi con la polizia. Tuttavia, già dopo due settimane dall’apertura delle prenotazioni è diventato impossibile assicurarsi l’ingresso nei tempi previsti dalla legge per la formalizzazione della domanda d’asilo.
La modalità telematica non sembra quindi aver risolto la mala gestione della mole di richieste, ma, anzi, potrebbe aver solo nascosto la questione sotto il tappeto rendendola invisibile ai più.
Scritto da: Francesca Baronchelli, Giulia Girardello