Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ogni anno circa 703.000 persone si tolgono la vita. Nel 2019, il suicidio era la quarta causa di morte a livello globale tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Nonostante ciò, in tutto il mondo si registra una mancanza di dati riguardanti il suicidio e i tentati suicidi. Sempre secondo l’OMS, solo ottanta Stati membri forniscono stime attendibili sui tassi di suicidio, considerata la qualità dei dati raccolti. L’Italia, pur figurando tra questi, non dispone di registri sui tentativi di suicidio e anche i dati raccolti su queste morti presentano diverse problematiche. Il numero effettivo di suicidi è probabilmente sottostimato, poiché gli ultimi dati ISTAT risalgono al 2020 e spesso altre cause di morte, come ad esempio “morte accidentale”, vengono attribuite alla persona deceduta. Inoltre, i dati ISTAT non considerano i minori di 15 anni e gli stranieri non residenti.
Tendenze e dati recenti sui suicidi in Italia
I report dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) si basano sui già citati dati ISTAT secondo i quali, fino al 2020, in Italia si registravano circa 4.000 morti per suicidio all’anno. Guardando all’andamento del tasso di mortalità per suicidio nel nostro Paese, si osserva una riduzione a partire dalla metà degli anni Ottanta che diventa particolarmente evidente, soprattutto per gli uomini, nella seconda metà degli anni Novanta. Dopo il grande declino raggiunto tra il 2006 e il 2007, la mortalità per suicidio è cresciuta nuovamente tra il 2008 e il 2012 a causa della crisi economica, in particolare per quanto riguarda gli uomini in età lavorativa (tra i 25 e i 69 anni). Successivamente il tasso di mortalità per suicidio è tornato a decrescere.
È probabile, però, che si sia registrato un nuovo aumento a seguito della pandemia da COVID-19 ma non è possibile dirlo con certezza, dal momento che i dati non sono sufficientemente aggiornati. Per far fronte a questa mancanza, da marzo 2020, la Fondazione BRF ha aperto un “Osservatorio suicidi COVID-19“, dove vengono raccolti quotidianamente dati sul totale dei suicidi e tentati suicidi presenti sui giornali e online, indipendentemente dalle ragioni dell’atto. Secondo l’Osservatorio, solo nei primi tre mesi di pandemia hanno avuto luogo 62 suicidi legati, direttamente o indirettamente, al COVID-19, mentre dall’1 gennaio al 22 agosto 2021 si sono registrati 413 suicidi e 348 tentati suicidi. In ogni caso, i dati raccolti finora non ci permettono di individuare tendenze e non possiamo, dunque, fare riflessioni a riguardo.
Ma come si spiega il suicidio? Il modello stress-vulnerabilità
Il modo in cui il suicidio viene narrato nei media è spesso lontano dalla realtà. Più volte si legge di persone che si tolgono la vita a causa di una relazione finita male o di problemi familiari, ma questo difficilmente accade per una sola ragione, in quanto il suicidio è un evento multifattoriale. Ciò significa che ci sono diverse componenti che vanno valutate, anche a seconda del profilo specifico della persona. Secondo la professoressa Raffaella Calati, il modello stress-vulnerabilità aiuta a spiegare il suicidio. Tale modello mostra come una persona per essere a rischio di suicidarsi debba avere un aspetto di vulnerabilità che deve coincidere con un evento di vita stressante.
Togliersi la vita è, quindi, spesso il prodotto di caratteri costituzionali del profilo della persona e dello stato di stress in cui essa si trova. Secondo il “Rapporto Osservasalute 2018“, i principali fattori di rischio sono il genere, l’età, la malattia psichiatrica, l’abuso di sostanze, precedenti tentativi di suicidio e fattori ambientali, culturali e socioeconomici che caratterizzano la vita dell’individuo. In Italia, la maggioranza delle persone che si tolgono la vita sono uomini (78,8%) di più di 65 anni che risiedono nel Nord Italia. Il rapporto di genere è andato aumentando linearmente nel tempo, e il tasso di suicidio tra gli uomini sembra essere inversamente proporzionale alla densità della popolazione. Secondo l’ISS, questo potrebbe essere dovuto al fatto che “gli uomini sono più vulnerabili a fattori sociali ed economici avversi associati a una minore densità di popolazione”. Per quanto riguarda l’età, in generale il numero di suicidi è più elevato tra gli anziani che tra i ragazzi e, in particolare, per gli uomini si osserva un aumento esponenziale del tasso di mortalità per suicidio a partire dai 65 anni (in corrispondenza con l’età del pensionamento).
I campanelli d’allarme del suicidio
Una volta identificati i fattori di rischio nella vita di una persona, esistono dei campanelli di allarme, dei “segnali premonitori” che è importante riconoscere. Ad esempio, se l’individuo si ritira dagli affetti, altera le sue abitudini, inizia a cimentarsi in attività rischiose o mostra un improvviso cambio di umore (da angoscia a sollievo) potrebbe essere in atto un’ideazione suicidaria. Il fatto che un cambio d’umore “in positivo” indichi il rischio di suicidio potrebbe sembrare un controsenso ma, come spiega il dottor Maurizio Pompili, un soggetto che appare improvvisamente risollevato come se avesse di colpo risolto tutti i suoi problemi potrebbe aver deciso di risolverli tramite la soluzione più estrema: togliersi la vita.
Individuare questi campanelli d’allarme, tuttavia, non è sufficiente per prevenire un suicidio. Come sottolineano i dati dell’OMS, la prevenzione del suicidio richiede coordinazione e collaborazione tra diversi settori della società. Gli interventi devono essere integrati affinché siano efficaci e abbiano un effettivo impatto su un fenomeno complesso come questo. Il nostro Paese, però, non ha una strategia nazionale per la prevenzione del suicidio. L’unico provvedimento al momento esistente riguardo questa tematica è una mozione approvata dalla Camera dei Deputati nel giugno 2022 che “impegna il Governo a realizzare una strategia nazionale per prevenire, monitorare e contrastare i casi di suicidio“. Quello che manca è un piano di azione che specifichi chiaramente e in maniera dettagliata obiettivi, traguardi, indicatori da osservare, scadenze, tappe, responsabilità da assegnare e fondi da stanziare. Un esempio virtuoso in questo senso, secondo l’OMS, è l’Inghilterra, che grazie alla stretta collaborazione tra governo, associazioni ed esperti del settore, ad una pianificazione chiara e ad un continuo monitoraggio e aggiornamento delle priorità, ha creato una strategia di successo.
Prevenzione
La prevenzione del suicidio coinvolge diversi livelli di intervento: prevenzione primaria, secondaria e terziaria. La prevenzione primaria comprende tutti gli interventi finalizzati a ridurre il numero di suicidi e dei tentati suicidi, riducendo la possibilità che un individuo sviluppi l’ideazione suicidaria. Ciò consiste principalmente nella psicoeducazione della società: educare la popolazione a riconoscere i fattori di rischio e i campanelli d’allarme, insegnare che è importante porre domande alle persone ed educare all’ascolto empatico, non frettoloso e non giudicante. La prevenzione secondaria, invece, riguarda gli interventi rivolti alle persone ritenute a rischio. La prevenzione terziaria, infine, si concentra sul supporto a coloro che hanno già tentato il suicidio, e il suo scopo è dunque quello di impedire e ridurre eventuali recidive.
Per quanto riguarda gli individui considerati a rischio o che hanno già tentato il suicidio, sono necessari interventi specifici da parte di professionisti del settore della salute mentale. In Italia, però, non esiste una realtà strutturata, un iter d’intervento preciso né a livello nazionale, né a livello regionale. I servizi sono eterogenei e variano a seconda della ASST. Alcuni ospedali e associazioni offrono servizi di prevenzione secondaria e terziaria ma senza alcuna centralizzazione.
La salute mentale e il suicidio sono questioni critiche che non possono più essere considerate dei tabù. Purtroppo, molte persone non cercano aiuto per paura del giudizio sociale e per la mancanza di servizi adeguati. Il suicidio può essere prevenuto attraverso l’accesso a servizi di salute mentale adeguati, il sostegno e la sensibilizzazione. Ecco perché è importante che il Governo rispetti quanto indicato nella mozione approvata lo scorso giugno, impegnandosi a creare una strategia nazionale, a stanziare fondi per la prevenzione primaria e promuovere servizi volti a offrire supporto alle persone a rischio.
Scritto da: Francesca Baronchelli
Un ringraziamento speciale va alla professoressa Raffaella Calati, ricercatrice dell’Università di Milano-Bicocca ed esperta sul tema, la quale ci ha permesso di riflettere insieme a lei concedendoci un’intervista.
Potete trovare qui alcune delle sue pubblicazioni:
https://www.scopus.com/authid/detail.uri?authorId=55198411700
https://scholar.google.it/citations?user=WHxdMKgAAAAJ&hl=it&oi=ao