Centri per migranti in Albania. Fotografia di © Agenzia Nova

I centri per migranti tra Italia e Albania: un’intervista a Luca Rondi

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Il Cpr di Milano:

Dopo le indagini e il sequestro del ramo d’azienda di Martinina Srl del dicembre 2023, la direzione del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli è stata affidata a un amministratore giudiziario. Ad agosto 2024 la cooperativa sociale Ekene si è aggiudicat a il bando indetto dalla prefettura milanese per la sua rinnovata guida e si dovrebbe insediare a partire dall’inizio del nuovo anno. L’ente non è nuovo nella conduzione di queste strutture, nonostante il curriculum discutibile e ampiamente conosciuto dalle istituzioni. Come sottolinea Luca Rondi, giornalista di Altreconomia, “Ekene ha gestito per 5 anni il Cpr di Gradisca di Isonzo, durante i quali si sono verificati quattro decessi, e per 3 anni il Cpr di Macomer, dove sono state registrate diverse violazioni dei diritti delle persone trattenute”. 

Del Cpr di Milano, che in media ospita 45 persone, avevamo già parlato in occasione dell’inchiesta pubblicata da Altreconomia sull’abuso degli psicofarmaci nella struttura. Questa è raccolta, insieme ad altre, in “Gorgo Cpr” il nuovo libro di Luca Rondi e Lorenzo Figoni, che, “tra vite perdute, psicofarmaci e appalti milionari”, denuncia le condizioni nei Centri di permanenza per il rimpatrio in Italia. 

  La crescita di Medihospes: ​​

La situazione inerente al Cpr di Milano, che si ripropone anche in altre strutture italiane, solleva diversi interrogativi sul controllo degli appalti per la gestione dei centri e sulla tutela dei diritti delle persone migranti. Le stesse questioni non riguardano solo i Cpr, ma anche i centri di accoglienza straordinaria (Cas) e i centri di detenzione in Albania. Un esempio è quello della cooperativa sociale Medihospes, “regina dei centri per migranti” che a Roma ha conquistato quasi un monopolio, nonostante sia finita diverse volte al centro di inchieste giornalistiche. Dall’inizio del 2024 la cooperativa si è espansa anche a Milano, dove ha preso in gestione Casa Jannacci, struttura di accoglienza per i senza dimora, e i due Cas più grandi della città, con bandi da quasi 46 milioni di euro. 

Ma la crescita di Medihospes non finisce qui. A maggio 2024, infatti, la cooperativa si è aggiudicata la gestione dei centri in Albania con l’appalto più redditizio di sempre nel campo dell’immigrazione (133 milioni di euro). Medihospes è nata dalla fusione di Senihospes con Mediterranea, coinvolta nell’indagine “Mafia Capitale”. La cooperativa ha partecipato ad alcune delle gare pubbliche più discusse in Italia. Oltre a questo, è controllante della Vivenda Spa, colosso della ristorazione, che forniva gli alimenti anche al Cpr di Milano, cibo che secondo diverse testimonianze era scadente e avariato. 

La nascita delle cooperative sociali:

“La prima cooperativa sociale è nata in Italia nel 1972 come forma di organizzazione che favorisse il reinserimento degli internati negli Ospedali psichiatrici nella società civile. Da lì si è diffusa anche come forma per supportare l’intervento di chiusura dei manicomi” ci racconta Luca Rondi. Con la legge 381 dell’8 novembre 1991 viene fissato l’obiettivo di questi enti, ovvero quello di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi. Sempre Luca Rondi sottolinea: “ci si potrebbe domandare dove siano l’interesse della comunità, l’integrazione sociale e la promozione umana in una struttura come quella albanese, che è agli antipodi sia per l’interesse generale, se si pensa alla quantità di denaro pubblico impiegato, sia per la promozione umana e l’integrazione sociale di persone che vengono recluse e isolate dalle comunità”. Lo stesso discorso vale per i Cpr, istituti che assomigliano incredibilmente a quelli manicomiali. E’ facile pensare che lo scopo di queste cooperative sia il profitto, mascherato da un obiettivo sociale

Economia della detenzione:

Sia i centri in Albania che i Cpr sono strettamente legati al concetto di “economia della detenzione“, un termine che denuncia l’esistenza di un sistema in cui sia gli enti pubblici che le imprese private traggono profitto dalla detenzione dei migranti. Strutture di questo tipo, infatti, richiedono servizi di sicurezza, alimentazione e manutenzione, spesso forniti da aziende private che beneficiano finanziariamente dell’esistenza e dell’espansione di questi centri. Gli elevati interessi economici hanno fatto sì che la detenzione amministrativa, da misura eccezionale, diventasse una pratica standardizzata, diffusa e di profitto. La decisione di aprire un Cpr anche fuori dal territorio nazionale, come nel caso dell’Albania, si inserisce perfettamente in questo filone, in quanto mira non solo a ridurre la pressione migratoria dai confini europei, ma anche a replicare i meccanismi di controllo e sfruttamento economico già diffusi in Italia.

I centri per migranti tra Italia e Albania
Fotografia di © Agenzia Nova

Criminalizzazione e invisibilizzazione:

La marginalizzazione e la criminalizzazione dell’immigrazione hanno l’effetto di mantenere le persone migranti in una condizione di fragilità che rende difficile qualsiasi rivendicazione. Il risultato è un sistema in cui, pur essendo presenti, restano invisibili nei diritti e vulnerabili nei doveri. Le strutture di detenzione amministrativa, vere e proprie “galere per stranieri”, servono a ricordare costantemente ai migranti la loro precarietà e, allo stesso tempo, a separarli dal resto della società civile. Si può così parlare di invisibilizzazione: “i Cpr​​ vengono presentati come strumenti che rendono più sicure le nostre città e favoriscono l’illusione che la tragica macchina dei rimpatri possa essere uno strumento efficace di gestione dei flussi migratori” sottolinea Luca Rondi. Queste strutture ci mostrano che nel nostro paese esistono cittadini di serie B, privati della libertà personale per un illecito amministrativo o su base etnica, come succede nel caso di chi proviene dalla Tunisia

Al momento i centri in Albania si possono definire “congelati” dato il ritorno in Italia di alcuni dei membri delle forze dell’ordine e degli operatori dell’ente gestore. Un esito non totalmente inaspettato. Infatti, come si legge su Altreconomia, la stessa Medihospes, a più di sei mesi dall’aggiudicazione della gara pubblica, non ha ancora siglato il contratto con la prefettura di Roma. Non solo, la stessa cooperativa aveva previsto una durata contrattuale di tre mesi nelle posizioni lavorative che a luglio ha aperto sul suo sito per il personale dei centri. Secondo Luca Rondi, è un “probabile segno che sia da parte delle istituzioni sia da chi gestisce la struttura sia sorto qualche dubbio rispetto all’efficacia di attuare il protocollo”. 

Un nuovo gravissimo precedente:

Nonostante l’apparente fallimento del progetto, “quello che è avvenuto segna un gravissimo precedente. Il tentativo di esternalizzare la detenzione amministrativa è stato fatto. […] I confini del fattibile, del pensabile, dell’attuabile, sono stati spostati” commenta l’Associazione Naga. Infatti, seppur la Corte di Giustizia dell’Unione Europea potrebbe dare il colpo di grazia all’accordo tra Meloni e Rama, non si può dimenticare che questo protocollo “anticipa sotto certi aspetti il nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, che dovrebbe entrare in vigore entro gennaio 2026”, come conclude Luca Rondi. 

Questi episodi, da Milano a Gjadër, suscitano interrogativi etici e mostrano illogicità operative in tema di detenzione amministrativa. Per questo, sentiamo l’urgenza di riflettere collettivamente sulle attuali politiche migratorie, affinché queste siano più umane e rispettose della dignità delle persone. Tra le varie risposte, l’abolizione delle “galere per stranieri” costituisce un passo fondamentale verso questa direzione.

Articolo di Martina Cangialosi e Maria Alessandra Panzera

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