“Free Gino e Free Maja”

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Il Primo Marzo si è tenuta a Milano una manifestazione indetta dal Comitato Free Gino, come parte della campagna di solidarietà internazionale antifascista contro la repressione per i fatti di Budapest del 2023. Il corteo, composto da qualche centinaio di manifestanti, ha sfilato per le vie della città chiedendo la liberazione di Gino, Maja e tutti gli antifascisti incarcerati in Europa. Obiettivo dei manifestanti era denunciare come, negli ultimi anni, si sia aperta la caccia al militante antifascista in tutta Europa. Sono diversi gli attivisti antifascisti al momento sotto processo, o già incarcerati, per via delle accuse mosse dal regime di Orban, che li incrimina di presunte aggressioni ai danni di esponenti neonazisti avvenute l’11 febbraio del 2023. In quella data, infatti, si tiene la cosiddetta Giornata dell’Onore, una ricorrenza annuale che riunisce vari gruppi neonazisti europei che si ritrovano a Budapest per commemorare i soldati delle SS caduti durante la Seconda Guerra mondiale. Come ogni anno non erano presenti solo esponenti di estrema destra, ma una cospicua manifestazione antagonista che aveva l’obiettivo di contestare la manifestazione fascista.

Fonte: @____streetculture____

Tra i partecipanti figurava l’ora europarlamentare Ilaria Salis, che quel giorno venne arrestata, accusata a sua volta di aver aggredito un gruppo di estrema destra. Processata con modalità che sollevano dubbi sulla loro regolarità legale, Salis è stata rinchiusa per 15 mesi in carcere, durante i quali le condizioni detentive hanno destato preoccupazioni per la violazione dei diritti umani. È questo lo stesso scenario che si prospetta per gli altri militanti. Inoltre, come nel caso di Salis, le accuse di aggressioni mosse ai vari manifestanti antifascisti presenti quel giorno sono false, figlie di un piano di controllo e repressione dei movimenti antagonisti che il regime di Orban sta portando avanti sia all’interno, attaccando realtà locali, sia all’esterno, attraverso processi contro militanti internazionali solidali verso i compagni ungheresi. Grazie alla mobilitazione nazionale e alla sua elezione al Parlamento Europeo adesso Ilaria Salis è libera e in Italia, ma altri militanti non sono così fortunati.

Tra questi, Gino, all’anagrafe Rexhino Abazaj, è un cittadino italo-albanese al momento detenuto nel carcere di Fresnes, vicino a Parigi, in attesa che i giudici d’oltralpe decidano sulla richiesta d’estradizione presentata dall’Ungheria, che accusa anche lui di aver aggredito militanti neonazisti. Il caso giuridico di Gino è particolarmente critico anche a causa della sua cittadinanza. Gino, infatti, è cittadino albanese, nonostante viva in Italia dall’età di tre anni e abbia frequentato qui le scuole dell’obbligo. I suoi genitori hanno ottenuto la cittadinanza italiana, ma non Gino: nel 2013 la sua richiesta per la cittadinanza fu respinta dalla prefettura di Pavia. Eugenio Losco, avvocato di Gino, ha richiesto le motivazioni di questa scelta alla prefettura, ma non ha mai ricevuto risposta. Se ufficialmente le cause di questo diniego rimangono un mistero, la motivazione più probabile è che gli sia stata negata la cittadinanza a causa del suo attivismo con i movimenti per il diritto alla casa.

Di per sé una denuncia non implica l’esito negativo di richiesta per la cittadinanza, ma le autorità possono rifiutarla per «comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica». Questa scelta del Prefetto di Pavia sembra più politica che strettamente giuridica. L’assenza della cittadinanza implica che al momento l’Italia non ha giurisprudenza sul caso legale di Gino; inoltre è stata fondamentale nella scelta del giudice di negare la richiesta dei domiciliari, presentata dalla difesa, proprio perché ci sarebbe il “pericolo di fuga”, in parte motivato dall’assenza dei documenti per stare in territorio francese. L’attenzione adesso verte sul 9 aprile, quando i giudici della corte d’appello di Parigi decideranno se accettare la richiesta delle autorità ungheresi.

Fonte: Radio Onda D’Urto

Un altro caso coinvolge, Maja T., militante antifascista non binaria tedesc*, al momento detenut* in Ungheria. Maja era stat* fermat* in Germania, sempre in seguito a un mandato d’arresto internazionale emesso dall’Ungheria, ed era stat* incarcerat* a Dresda nel dicembre 2023. A giugno del 2024, però, fu prelevat* nel cuore della notte e consegnat* all’Ungheria, senza dare tempo al suo avvocato di presentare ricorso alla Corte costituzionale federale tedesca. Il dato sorprendente è che la stessa corte ha giudicato negativamente l’estradizione di Maja, quando però era ormai troppo tardi. Durante la sua testimonianza nel corso dell’udienza preliminare a Budapest, dove è stat* portat* in manette e tenut* al guinzaglio da agenti armati della polizia ungherese, ha denunciato le condizioni di detenzione in cui si trova, sottolineando come queste violino le normative penitenziarie stabilite dell’Unione Europea, di cui l’Ungheria è membro. Maja è costrett* all’isolamento da più di duecento giorni, con un limite di soli trenta minuti al giorno per interagire con altri detenuti e di due ore al mese per incontrare i familiari. Maja ha anche denunciato la presenza di cimici e scarafaggi, oltre che di telecamere illegali nella cella.

Un’ulteriore complicazione per Maja è la sua identità non binaria. In un Paese che ha recentemente reso illegale il Pride e che non riconosce legalmente identità non binarie, Maja è reclus* in un carcere maschile. Dalla sua dichiarazione, letta all’udienza del 21 febbraio: “Eccomi qui, incatenat* e accusat* in un Paese per il quale io, in quanto essere umano non binario, come Maja, non esisto”. Oltre che essere trattat* come un* pericolos* criminale, in un regime carcerario violento e che non ha riguardi per la dignità umana, subisce anche una totale deumanizzazione.
Oltre alle preoccupanti condizioni detentive a cui Maja è sottopost*, è allarmante il comportamento dei Paesi Europei alle richieste di Orban. Non è, infatti, un segreto la situazione critica dello stato di diritto e delle garanzie processuali in Ungheria a cui sono sottoposti i militanti. Insomma, Maja, che ora rischia fino a 24 anni di carcere, è stata tradit* da uno Stato la cui Costituzione promette di proteggere la dignità dei suoi cittadini e da istituzioni giuridiche che hanno addirittura scavalcato la più importante corte legale tedesca.

Gino e Maja non sono i soli a subire questa persecuzione legale, ma rimangono ancora sotto processo molti altri militanti, tra cui Hanna S. e Tobias Edelhoff, due attivisti tedeschi. Il corteo del primo marzo non si è limitato a richiedere la liberazione degli antifascisti accusati per i fatti di Budapest, ma ha voluto evidenziare la natura di un processo molto più ampio. I manifestanti, infatti, hanno denunciato la persecuzione di Orban verso la militanza antifascista e la deriva autoritaria che imperversa per tutta l’Europa, che ha nel recente Decreto Sicurezza l’ultimo esempio italiano. Da Fresnes a Budapest alla sbarra di accusa non viene giudicato un crimine, che non c’è stato, ma un’idea di un mondo libero da derive autoritarie e fasciste per cui si è disposti a lottare. Questa è stata la denuncia fondamentale del Comitato Free Gino e di tutti coloro che sono scesi in piazza a Milano.

Fonte: @____streetculture____

La manifestazione si è poi conclusa davanti al carcere di San Vittore, struttura che al momento ha un tasso di sovraffollamento del 144,92% (1048 detenuti a fronte di 748 posti disponibili). L’istanza dei manifestanti è di supporto non solo agli antifascisti, ma verso tutti i detenuti nelle carceri, in nome di una lotta abolizionista che riconosce nelle istituzioni penitenziarie un luogo di oppressione. Il caso italiano è particolarmente critico. Il report dell’associazione Antigone ha evidenziato che nel 2024 ci sono stati 88 suicidi, nuovo record negativo, e 243 morti nelle carceri italiane, con un aumento dei tassi di autolesionismo. Questi numeri svelano il vero volto di istituzioni sovraffollate, 62.153 detenuti a fronte di una capienza effettiva di circa 47.000 posti, che non hanno a cuore la dignità e il rispetto delle persone, considerate come criminali da punire. I manifestanti hanno espresso il loro dissenso anche contro le politiche repressive, come il disegno di legge sulla sicurezza e il piano di trasferimento dei detenuti nelle carceri albanesi, che andrebbero ad esacerbare ulteriormente la situazione.

Non solo cori e discorsi, ma anche fumogeni e fuochi d’artificio per mostrare vicinanza ai detenuti, che si sono affacciati e hanno salutato i manifestanti attraverso le barre che li escludono dal mondo esterno.

Di Lorenzo Rosso Molinari

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