Fenomeno hikikomori: un’indagine tra dati e cause

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Il fenomeno degli hikikomori nasce in Giappone negli anni ‘80, ma nell’ultimo decennio si è diffuso anche in Italia e in altri paesi occidentali. Si tratta di un argomento che interessa sempre di più i media e le famiglie che, con il tempo, stanno acquisendo una maggiore consapevolezza riguardo questa problematica sociale. Ma cosa significa realmente essere un hikikomori? Quali sono le cause e le implicazioni di questo fenomeno?

LA DEFINIZIONE DI HIKIKOMORI

Il termine hikikomori, coniato dallo psichiatra giapponese Saito Tamaki (1), deriva dalle parole giapponesi hiku (tirare) e komoru (ritirarsi), e significa letteralmente “stare in disparte, isolarsi”. Secondo Tamaki, una sindrome hikikomori è diagnosticabile in persone che hanno trascorso almeno sei mesi in una condizione di isolamento sociale, ritirandosi dalle attività scolastiche e/o lavorative, senza alcuna relazione al di fuori della famiglia. Il periodo medio di isolamento sociale è di circa 39 mesi, ma può variare da qualche mese a molti anni. Uno studio condotto dal Professor Eugenio Aguglia (2) e altri ricercatori italiani ha evidenziato che gli hikikomori sono principalmente giovani di sesso maschile che si isolano volontariamente nella propria stanza, evitando qualsiasi contatto diretto con il mondo esterno, spesso inclusi i familiari.

Tuttavia, è importante sottolineare che essere hikikomori non è considerato una patologia e non esistono, dunque, dei criteri precisi per definire una persona in questa condizione di ritiro sociale. 

LA VITA SOCIALE E IL RUOLO DELLA TECNOLOGIA

La Dottoressa Sabrina Molinaro, psicologa e capo del Dipartimento di Epidemiologia e Servizi Sanitari dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ha osservato che, anche in Italia, gli hikikomori sono prevalentemente giovani maschi che non studiano e non lavorano. Il ritiro sociale, infatti, nella grande maggioranza dei casi comporta l’abbandono scolastico, ma non è sempre così. La psicanalista Laura Pigozzi, ci ha descritto i cosiddetti hikikomori covert, giovani che frequentano la scuola ma possono comunque considerarsi come ritirati sociali. Questi, infatti, non partecipano ad alcun hobby, sport o attività extrascolastiche e non hanno una vita sociale attiva, registrando un’assenza di rapporti amicali. Spesso il ritiro sociale è, però, accompagnato dalla creazione di una vita sociale online, con un grande utilizzo di internet e apparecchi elettronici.

La Cooperativa Sociale Onlus Hikikomori ha evidenziato pareri discordanti sull’uso di questi strumenti: alcuni li vedono come un adattamento per mitigare l’isolamento, mentre altri li considerano fattori che mantengono o aggravano la condizione di ritiro, portando a potenziali forme di dipendenza. Secondo Pigozzi, l’uso del computer e la presenza di una vita sociale online, non sono componenti essenziali dell’essere hikikomori. Questo fenomeno, infatti, è nato negli anni ‘80, ben prima dell’avvento dei computer e delle nuove tecnologie e, inoltre, i casi più gravi non utilizzano la rete. Secondo lei, quindi, il web non è responsabile del ritiro sociale, ma diventa una pratica che si sviluppa successivamente. Tuttavia, è cruciale comprendere come la tecnologia possa influire su questa condizione, sia come mezzo di fuga che come strumento di connessione con il mondo esterno.

IL CONTESTO DEL RITIRO SOCIALE

Le cause che portano i giovani a isolarsi sono complesse e multifattoriali. La Dottoressa Pigozzi spiega come la sofferenza di queste persone non sia legata a un oggetto esterno quali droghe, alcol o cibo, ma come abbia al centro proprio il soggetto stesso. Il suo corpo diventa come murato vivo, sottraendosi al rapporto con l’Altro e flirtando con la morte. Alla radice di tutto ciò, sottolinea Pigozzi, non c’è una patologia sebbene questa possa svilupparsi a seguito del ritiro sociale.

Poiché gli hikikomori sono spesso adolescenti e quindi minorenni, è nella casa dei loro genitori che si rinchiudono. Questi ultimi tendono ad accogliere la richiesta di isolamento dei figli. Ciò avviene perché, come spiegato da Molinaro, all’inizio, il problema viene sottovalutato: i genitori vedono positivamente il fatto che i figli stiano a casa, poiché in questo modo sanno sempre dove sono e sono certi che non siano in giro a “fare bravate” come bere o drogarsi. Inoltre, la pandemia da COVID-19 ha reso più normale ai nostri occhi passare molto tempo in casa, influenzando la percezione dell’isolamento sociale dei figli. 

LA DIFFICOLTÁ NEL QUANTIFICARE IL FENOMENO

L’epidemiologa Sonia Cerrai ci ha illustrato la complessità nel quantificare il fenomeno degli hikikomori, poiché si tratta di una popolazione nascosta. Inoltre, questo argomento è legato a uno stigma che rende difficile parlarne apertamente. 

L’unica evidenza oggettiva per comprendere il ruolo dell’isolamento volontario tra i giovani in età scolare è rappresentata dalla “certificazione di ritiro sociale” rilasciata dalle ASL. Tuttavia, come indicato dall’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa, di cui la Dottoressa Cerrai fa parte, tale certificazione risulta inaffidabile per una stima appropriata del fenomeno per almeno tre motivi: a) non tutte le regioni e le ASL si sono attivate per il rilascio; b) non tutti gli istituti scolastici vi ricorrono, anche se il servizio è disponibile; c) non tutti gli studenti o le loro famiglie ne fanno richiesta. 

Per affrontare queste limitazioni, il Gruppo Abele, una ONG che opera per il supporto e l’inclusione sociale di persone emarginate, in collaborazione con l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa, ha condotto nel 2021 uno studio a livello nazionale per valutare la diffusione del fenomeno del ritiro sociale volontario, noto come hikikomori, tra gli studenti delle scuole superiori italiane, nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 19 anni. Questo studio rappresenta la prima stima quantitativa di questa dinamica sociale e si basa su domande rivolte ai dirigenti scolastici, agli insegnanti e agli studenti di istituti d’istruzione secondaria di secondo grado che partecipano a ESPAD Italia (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs). Il report fa riferimento all’anno scolastico 2020/21.

IL RITIRO SOCIALE E LA SCUOLA

L’81,6% dei dirigenti scolastici ha segnalato che almeno uno studente della scuola è stato coinvolto nel fenomeno della dispersione scolastica, mentre il 26,7% ha indicato che almeno uno studente è stato coinvolto nell’isolamento sociale. Questo dato evidenzia come il fenomeno sia diffuso e percepito in molte scuole italiane.


Lo studio mostra la presenza di un impegno significativo ma ancora limitato verso il riconoscimento e la gestione del ritiro sociale. Infatti, mentre il 78,9% dei dirigenti scolastici afferma che, nella loro scuola, esiste un piano o patto formativo per il recupero della dispersione scolastica, meno di un quinto delle scuole (19,6%) prevede un piano o patto formativo per il recupero dei soggetti con certificazione di ritiro sociale.
Per quanto riguarda i docenti, lo studio evidenzia una certa mancanza di sensibilità o di strumenti adeguati da parte degli insegnanti nel riconoscere e affrontare il fenomeno.
Infatti, gli studenti che si sono isolati volontariamente dichiarano che il 27% degli insegnanti non si è preoccupato per il loro isolamento, circa il 23% pensava che lo studente fosse malato, e solo il 12% ha contattato i genitori. 

I COMPORTAMENTI E LE ATTIVITÀ DURANTE L’ISOLAMENTO VOLONTARIO

In merito agli studenti, il 43% riferisce di uscire quattro o più volte alla settimana dalla propria stanza o casa. Invece, il 16,8% esce una volta a settimana o meno, mentre il 5,6% afferma di non uscire mai dalla propria stanza, con una maggiore incidenza tra i ragazzi (M=6,8%; F=4,4%). 

La maggior parte degli studenti che non sono usciti di casa per un periodo significativo (56,1%) è rimasta isolata per meno di due settimane; poco più di un quinto è rimasto isolato per uno o due mesi, mentre il 14,1% non è uscito per tre mesi, configurandosi come a rischio hikikomori. Infine, il 9,1% è rimasto isolato per oltre sei mesi, con percentuali più elevate tra i maschi (11,2%), rientrando, quindi, nella definizione di hikikomori di Tamaki.

Il report suggerisce che l’isolamento è spesso caratterizzato da attività solitarie e passive. Durante il periodo di isolamento, infatti, le attività più diffuse sono ascoltare musica (circa 64%), utilizzare i social network (circa 50%) e dormire molto (45,5%). É però da segnalare che il 59,8% dei maschi dichiara di aver trascorso il proprio tempo giocando online.
I dati indicano che, anche durante l’isolamento, alcuni studenti riescono a mantenere un minimo di socialità, mentre altri sono completamente disconnessi dal loro gruppo di pari.
Il 78,1% degli studenti isolati ha mantenuto alcuni contatti con amici; chi non li ha mantenuti lo ha fatto per preferenza ad attività solitarie (31,5%), sentirsi non capiti (26,2%) o ansia sociale (21,5%). 

LE CAUSE DELL’ISOLAMENTO

Per quanto riguarda le cause dell’isolamento volontario, la principale risiede nei problemi di natura psicologica. Questa categoria rappresenta la motivazione più frequente in tutte le durate di isolamento, con un incremento significativo dal 37,3% per chi si isola per meno di tre mesi, fino al 40,1% per chi si isola per sei mesi o più. Questo dato sottolinea la necessità di interventi mirati alla salute mentale degli studenti, che devono essere supportati non solo a livello scolastico, ma anche familiare e comunitario. Un altro dato rilevante è la mancanza di voglia di vedere qualcuno, che aumenta significativamente con la durata del ritiro sociale. Questo trend suggerisce che l’isolamento autoalimentato può diventare un circolo vizioso, dove la solitudine iniziale porta a una maggiore chiusura nel tempo.

Le difficoltà relazionali con amici e partner sono un altro fattore critico, con valori che oscillano tra il 26% e il 30,6%. Anche i problemi familiari mostrano una crescita significativa con il prolungarsi dell’isolamento, passando dal 13% per periodi brevi al 25,3% per periodi prolungati. Questi dati indicano come le relazioni interpersonali siano cruciali per il benessere degli adolescenti e come il loro deterioramento possa contribuire all’isolamento. I problemi di natura fisica e la mancanza di voglia di andare a scuola sono cause meno frequenti ma comunque significative. Tra le altre motivazioni, troviamo anche i problemi relazionali con insegnanti e personale scolastico e il rendimento scolastico insufficiente. Questi dati evidenziano l’importanza di un ambiente scolastico accogliente che offra agli studenti un supporto adeguato in modo da prevenire l’isolamento.

Guardando alle famiglie, il 26% degli studenti dichiara che i suoi genitori hanno accettato l’isolamento senza porsi domande, mentre il 19,2% non se ne è accorto. Solo l’8,6% degli intervistati riporta che i propri genitori si sono preoccupati e hanno chiamato il medico. La reazione dei genitori sembra influenzare significativamente la condizione di ritiro sociale dei ragazzi. Infatti, tra coloro che si sono isolati per oltre sei mesi, si trovano percentuali maggiori di studenti i cui genitori hanno accettato l’isolamento.

Come sottolineato da Cerrai, questi dati, sebbene interessanti, non permettono di trarre conclusioni definitive sul fenomeno hikikomori. In primo luogo perché i partecipanti sono stati intervistati nel 2021, dopo la pandemia da COVID-19, che potrebbe aver influenzato la percezione del fenomeno e le loro risposte. Inoltre, questo report si basa su valutazioni soggettive degli intervistati e non su dati oggettivi, rendendo necessaria una cautela nell’interpretazione dei risultati.

LA PUREZZA DELL’HIKIKOMORI

Secondo la teoria psicanalitica raccontataci da Pigozzi, l’hikikomori è paragonabile ad un asceta: rifiuta la società corrotta che infanga l’idea di vita perfetta, la quale accompagna il soggetto nella scelta del ritiro volontario. Tutto ciò che disturba la sua tranquillità deve essere allontanato, tenuto a distanza dalla propria purezza.

Come un Uno, il quale contiene già tutto quel di cui necessita, non ha bisogno di relazioni le quali lo corromperebbero.”

Simula così la morte, rendendosi larva, agghindando la cameretta a tomba, ed escludendo l’accesso anche a coloro che abitano con lui. Inarrivabile, pretende i genitori vicino ma non troppo, ricordando loro, perennemente, la sua presenza-assenza.

IL RAPPORTO CON I GENITORI

La casa dell’hikikomori è molto accogliente, ha tutto quel che serve al suo interno: i ragazzi stanno bene, si sentono al sicuro dal giudizio, lontani dalla prova con il reale, protetti da madri che li hanno perennemente sotto i loro occhi per assicurarsi che non abbiano bisogno di altro, di altri.

La psicanalista Laura Pigozzi usa una metafora molto chiara: le tendenze claustrofiliche dentro una famiglia sono come una camera piena di gas, basta una miccia, un brutto episodio successo a scuola magari, per innescare l’esplosione. Eppure, non è per la fiammella di un accendino che si muore. 

Le famiglie hikikomori vedono spessissimo il soggetto far coppia con la madre (da intendere come la figura con cui si ha sviluppato un attaccamento primario), la quale con il suo plusmaterno tende a chiudere il nucleo familiare, ma soprattutto la coppia che forma col figlio. Con questo termine Pigozzi intende l’attaccamento disfunzionale verso il figlio o la figlia per eccesso. Il genitore plusmaterno si occupa di tutto, ha un atteggiamento di sostegno continuo e presenza perenne, è troppo e di troppo. Non pretendere nulla da loro, se non che siano amici dei genitori, significa abbandonarli alla pigrizia, prepararli alla passività. “Chi è servito, invece di essere aiutato, è leso nella sua indipendenza” dice Pigozzi citando Maria Montessori.
Spesso infatti, continua Pigozzi, la madre vuole confidenze private ricoprendo non più solo il ruolo di genitore, ma anche di amico e di amante, ostacolando così il figlio adolescente non solo nel contatto con la propria vita intima, ma anche nel contatto con un Altro, un suo pari a cui raccontarsi.
Il figlio è così narcisisticamente ipervalorizzato da una madre che non gli permette di reggere lo sguardo dei coetanei, colui che sta fuori, il quale invece, è raccontato come temibile Minosse.


La coppia di amanti cambia, non è più composta dai coniugi, ma da madre e figlio: il bambino della scuola primaria, futuro liceale e futuro giovane adulto spaesato nel mondo, soppianta il padre anche in camera da letto. Si baciano sulle labbra madre e figlio, si chiamano “Amore della mia vita”, scambiano regali a San Valentino e cantano Viva la mamma, perché se ti parlo di lei non sei gelosa di Edoardo Bennato. La dialettica con il genitore è perciò chiaramente disfunzionale.
Nonostante questo, l’hikikomori ritiene la famiglia responsabile del suo ritiro: non di rado picchia la madre, scaricando su di lei la frustrazione dei propri insuccessi.

IL RAPPORTO CON I PARI

La Dottoressa Molinaro sottolinea come, in generale, gli hikikomori siano insoddisfatti del loro rapporto con i pari e con i familiari, poiché si sentono incompresi da loro. Questo sentimento di incomprensione e inadeguatezza è comune a molte testimonianze di persone che si sono isolate volontariamente. Un esempio emblematico è la storia di Alessandro che, nel 2010, all’età di 13 anni, viveva recluso in casa. Durante l’estate tra la seconda e la terza media, Alessandro ha iniziato a provare una sensazione di disagio nello stare con gli amici, riportando: ho avuto la sensazione di non avere più nulla a che fare con loro. A seguito di questa sensazione, ha iniziato a fare sempre più fatica a uscire di casa, percependosi inferiore agli altri e senza possibilità di raggiungerli.

Secondo la psicanalista Laura Pigozzi, questa sensazione deriva dal fatto che oggi abbiamo perso la capacità di riconoscere chi è l’Altro e, quindi, colui che appare più grande di me, più intelligente, non riusciamo a riconoscerlo, dunque l’hikikomori fatica a percepirlo. Gli hikikomori mancano di competenza relazionale e faticano a trovare un collocamento nel sociale, sentendosi, quindi, rifiutati e alienati.

Come abbiamo già visto, gli hikikomori, però, hanno amici, ma nel mondo virtuale. Come spiega la Dottoressa Molinaro, l’hikikomori non è un eremita che cerca l’isolamento per introspezione, ma piuttosto una persona che ha bisogno di trovare un luogo sicuro dove liberarsi dalle pressioni del mondo esterno. Mantenere relazioni virtuali tramite internet permette all’hikikomori di gestirle in modo diverso rispetto a quelle nel mondo reale, offrendo  un senso di controllo e sicurezza che manca nelle interazioni faccia a faccia.

Comprendere il fenomeno degli hikikomori richiede una riflessione approfondita sulle dinamiche relazionali moderne e sulle sfide che queste persone affrontano nel cercare di trovare il loro posto nella società. Le loro storie ci invitano a considerare nuovi approcci per aiutarli a sentirsi compresi e accettati, sia nel mondo reale che in quello virtuale. La chiave sta nel promuovere un ambiente di accettazione e sostegno, che permetta agli hikikomori di superare le loro difficoltà e di costruire relazioni significative e soddisfacenti.

CAMPANELLI D’ALLARME: DIFFICOLTÀ DA ATTENZIONARE

La chiusura della comunicazione con le relazioni intorno al soggetto è uno dei campanelli d’allarme più evidenti, ma non l’unico. Alcuni sintomi sono riconducibili al corpo, dolori psicosomatici ricorrenti, dunque senza cause fisiche dirette ma di matrice psichica, come mal di pancia, mal di testa, nausea. 

L’isolamento è graduale, ma è la mancanza del racconto quotidiano di sé che deve destare attenzione – non quella sana e fisiologica tra figlio e genitore, ma tra amici, amiche.

Nello specifico poi, l’assenza di un rapporto amoroso, fondamentale per lo sviluppo sociale. Come ci ha raccontato Pigozzi e come possiamo leggere nel suo libro Amori Tossici , vi è molta difficoltà nel rapporto che i giovani tutti hanno con la propria sessualità: incontrare l’Altro e il corpo dell’Altro diventa un problema perchè provoca insicurezza nel soggetto, il quale riterrà di non essere abbastanza. Inoltre, non avendolo mai incontrato se non tramite la mediazione della famiglia, non è solo inesperto, ma piccolo, infantilizzato. L’iposessualizzazione e la difficoltà nel romanticismo riportano all’equilibrio, quando “l’amore” a casa invece sgorga illimitatamente e ne offre, apparentemente, a sufficienza.

A CHI RIVOLGERSI?

Nel 2012 Valentina Di Liberto ha fondato a Milano la Cooperativa Sociale Onlus Hikikomori, Centro Studi e Terapia sulle Nuove dipendenze e Problematiche relazionali insieme ad un gruppo di psicologi e sociologi che hanno sviluppato un primo modello di intervento sulle nuove dipendenze. Allora il ritiro sociale e le nuove dipendenze comportamentali erano un fenomeno poco conosciuto, le richieste di intervento arrivavano da giovani adulti precedentemente trattati in maniera talvolta anche invasiva. Il ritiro sociale veniva, quindi, trattato come sintomo di altre patologie.

Di Liberto racconta che sono i genitori a contattare il centro, i quali, iniziato il percorso, riceveranno supporto parallelamente al soggetto hikikomori. Infatti, l’intervento iniziale avviene solitamente sui genitori affinché venga modificato il clima relazionale all’interno della casa, invitando l’intero nucleo familiare a laboratori di gruppo e incontri individuali.

Il centro offre terapia in loco o tramite sedute online, cosicché, grazie ad una rete di terapeute e terapeuti, sia la specificità delle condizioni del paziente, sia la mancanza di supporto sanitario in aree più remote vengono sopperite. Inoltre, sono stati tra i primi ad offrire assistenza domiciliare a soggetti in ritiro volontario.

(1) Saito T. Shakaiteki hikikomori: owaranai shishunki (Social withdrawal: a neverending adolescence) PHP Shinsho; Tokyo: 1998.
(2) Aguglia, E. & Signorelli, Maria & Pollicino, C. & Arcidiacono, E. & Petralia, Antonino. (2010). Hikikomori phenomenon: Cultural bound or emergent psychopathology?. Italian Journal of Psychopathology. 16. 157-164.

Articolo scritto da: Francesca Baronchelli e Alessandra Ruffo

Ringraziamo vivamente coloro che, concedendoci un’intervista, hanno permesso di scrivere questo articolo, di raccontare chi sono i ragazzi e le ragazze hikikomori, con l’obiettivo di diffondere maggiore consapevolezza e sensibilità.

Laura Pigozzi, psicoanalista, psicologa clinica, dott.ssa in Filosofia morale e docente di Psicoanalisi della voce, nonché membro del direttivo della Fondation Européenne pour la Psychanalyse. Sull’argomento ha scritto Adolescenza zero. Hikikomori, cutters, ADHD e la crescita negata per Nottetempo (2019) e registrato una puntata del suo podcast Uscire dalle dipendenze affettive in famiglia, in coppia e nei gruppi. Hikikomori perché?, che raccomandiamo caldamente di leggere ed ascoltare.

Sonia Cerrai, biologa ed epidemiologa, la quale ha curato insieme a Silvia Biagioni, Sabrina Molinaro e con il contributo di Leopoldo Grosso per Gruppo Abele, il report Hikikomori:  indagine sul ritiro sociale volontario dei giovani italiani.

Valentina Di Liberto, sociologa, presidente e fondatrice della Cooperativa Sociale Onlus Hikikomori, in via Pola 15 a Milano.

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